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Stabilità o Metanoia: l’Italia davanti a risultati elettorali sofisticati

By Cristiano Gianolla, ALICE Team. 28-02-2013

 

Berlusconi, Monti, Grillo e Bersani. Fuente: Panorama.it.

Poco meno di 50 milioni di Italiani hanno votato per le elezioni politiche del 24-25 febbraio 2013. La legge elettorale in vigore stabilisce che la coalizione che ottiene il maggior numero di voti alla camera su base nazionale ottiene un sostanziale premio di maggioranza. Al senato invece il premio di maggioranza viene assegnato su base regionale e le regioni maggiormente popolose assegnano un maggior numero di senatori. La combinazione di questa legge elettorale con una serie di altri elementi emersi dai seggi come la la debolezza del centro-sinistra, il declino del sistema bi-polare, la pregnante conferma del populismo liberale ed il ricambio di forze politiche vecchie con emergenti alternative, restituisce un risultato elettorale sofisticato e che apre effettivamente a due scenari possibili. Il primo è la ricerca di una forma di governo stabile e compiacente con i mercati, il secondo è marcato dal cambiamento di prospettive, ovvero un cambiamento radicale delle forme politiche in Italia.

Dal momento che la coalizione di centro sinistra guidata da Pierluigi Bersani (Partito Democratico – PD), beneficia di una maggioranza assoluta alla camera (per via del premio di maggioranza) ma non al senato (dove gli mancano 35 senatori per raggiungere la maggioranza), la possibilità di governare autonomamente non è una ipotesi. Per cercare la stabilità le vie sarebbero quindi due. La prima vedrebbe la creazione di una improbabile alleanza con il rivale storico, la coalizione di Silvio Berlusconi (Popolo della Libertà – PDL). A questa ipotesi si aggiunge l’opzione di collaborare di nuovo con la coalizione di Centro di Mario Monti, ma visto lo scarso risultato elettorale di quest’ultima – con l’implicazione che PD + Centro comunque non raggiungerebbero una maggioranza al senato – non è possibile pensare ad una coalizione che faccia a meno di Berlusconi. Infine, il MoVimento 5 Stelle (M5S) guidato da Beppe Grillo ha da sempre negato la disponibilità ad unirsi in coalizione con i partiti politici tradizionali perché ne critica radicalmente l’operato. Una coalizione PD + M5S avrebbe i numeri per governare ma la sottomissione del M5S al PD non è pensabile. La seconda possibilità per ottenere stabilità sarebbe quella di tornare alle urne in pochi mesi come successe in Grecia nel 2012, con l’eventuale incognita di un risultato elettorale che potrebbe essere ulteriormente sofisticato da una seconda campagna elettorale ancora più atroce di quella appena conclusa.

Come alternativa alle opzioni centrate sulla stabilità emerge l’ipotesi di cambiamento, una metanoia, un cambiamento radicale, che è centrato proprio sulle proposte del M5S, il quale ha superato ogni attesa nel risultato di queste elezioni. Alla camera è infatti il primo partito in assoluto per consensi ricevuti e si conferma una delle tre maggiori forze politiche in tutte le circoscrizioni elettorali.

I risultati ed i significati

Il primo dato rilevante è quello sul calo della partecipazione al voto: 75,18 % degli aventi diritto, ovvero 5,31 % in meno rispetto alle politiche del 2008 e 8,42 % in meno rispetto al 2006. Il dato con il quale viene notoriamente registrata la disaffezione dalla politica è in aumento. Fino a queste elezioni, l’opinione dei mezzi d’informazione di massa era unita nel ritenere che anche il voto per il M5S fosse un indice di tale disaffezione. Ma dopo l’ottimo risultato elettorale sono ora in molti a ritenere il M5S un attore autorevole e stimolante nella discussione politica nazionale. Bersani ha già offerto a Grillo la possibilità di fare un programma basato su alcuni punti essenziali che sono cardinali del M5S in modo da poter ottenere la fiducia necessaria a far insediare il primo governo. Grillo ha negato questa possibilità affermando che il M5S parteciperà ad ogni dibattimento e sosterrà ogni proposta di legge conforme al proprio programma indipendentemente da chi la propone. Da questo scambio di battute fra i due leader, emerge il dato chiaro che la coalizione del PD sia uscita sconfitta pur avendo ottenuto più voti. Il PD era nettamente in testa nei sondaggi e si pensava che potesse ottenere una maggioranza assoluta anche al senato, o almeno insieme a Monti – con il quale si erano poste le basi per una possibile collaborazione post-voto. Questo risultato boccia quindi ancora una volta il PD. Il M5S è invece vincitore perché alla sua prima corsa elettorale è riuscito ad ottenere il consenso di un italiano su quattro ed ora può giocare il ruolo innovatore che desiderava.

Queste elezioni confermano anche lo status-quo post-ideologico della politica italiana, sia per quanto riguarda la destra che la sinistra. La “destra” è ora rappresentata infatti da Berlusconi che è virtuosamente riuscito a neutralizzare tutte le forze più estreme. La sinistra rimane invece nel partito Sinistra, Ecologia e Libertà (SEL) di Nichi Vendola che fa coalizione col PD anche se rimane marginale con un mero 3-3,5%.

Berlusconi ha esultato pur avendo perso le elezioni. La sua coalizione ha infatti ottenuto il 29,1 % dei consensi (contro il 29,5 di Bersani) alla camera mentre al senato ha ottenuto 117 seggi contro i 119 di Bersani divenendo di fatto un elemento imprescindibile di confronto. Benché la coalizione centrata nel PDL abbia preso il 17% dei consensi in meno rispetto alle politiche del 2008, il risultato è stato ritenuto positivo perché sia il PDL che la Lega Nord (LN) sembravano politicamente finiti. Infatti dopo la rinuncia al governo nel 2011, ed in seguito a vari scandali, sembrava che il centro-destra italiano si stesse scomponendo. A soli tre mesi dalle elezioni i sondaggi davano il partito di Berlusconi come marginale. Per questo il “Cavaliere” ha deciso di esporsi e di inondare con la sua presenza tv e radio italiane apparendo varie volte al giorno con una corsa lunga e dura che lo ha portato ad avere un consenso sorprendente. Non è la prima volta che questo accade, già nel 2006 era successo qualcosa di simile. Ciò che più di tutto sorprende è che Berlusconi ha avuto modo di stare al governo per ben quattro anni negli ultimi sette e di realizzare le promesse che ora si è ritrovato a fare durante la campagna elettorale. La sua vittoria è netta, perché nonostante le contraddizioni è riuscito a rimanere a galla ed a ricevere così tanti ed importanti consensi. Questa è una vittoria politica, della vecchia politica centrata sui potentati partitari e Berlusconi ha confermato ancora una volta di essere un genio, tacciato di estremo populismo, in questo ambito.

Mario Monti è un senatore a vita che 13 mesi fa era stimato da molti per essere super partes, ovvero per la sua neutralità politica. Molti ritengono che se non si fosse candidato alle elezioni politiche avrebbe potuto essere eletto presidente della Repubblica alla prossima scadenza del settennato di Giorgio Napolitano. La sua reputazione, al contrario di quella di Berlusconi, è rinomata a livello internazionale. Con la sua candidatura ha deciso di vestire una maglia politica. Al di là della centralità nominale dei piccoli partiti che lo sostengono (UDC e FLI), le sue politiche liberali lo distinguono chiaramente con posizioni di centro-destra. Il suo curriculum e le sue scelte politiche dell’ultimo anno ne sono la conferma. La sua coalizione racimola un magro 10% che non gli consente di fare la differenza relegandolo ad una sostanziale irrilevanza politica. Il suo essersi schierato politicamente lo solleva da quella neutralità di facciata che poteva vantare anteriormente e che, in una situazione di grande coalizione, avrebbe potuto far pensare ad una ulteriore esperienza di governo per lui.

Un ulteriore dato che emerge dalla sconfitta di Monti, l’insuccesso vittorioso di Bersani, ed il successo perdente di Berlusconi è la conferma che il cammino dell’Italia, per gli italiani, non deve essere centrato sull’austerità. Infatti Monti ha portato l’austerità col suo governo e faceva intravedere un cammino ancora segnato dai sacrifici necessari a compiacere “i mercati”. Bersani non ha mai preso completamente le distanze da questa posizione, non solo per una certa lotta interna al PD che deve fare i conti con la sua divisione interna fra gli eredi del Partito Comunista e Socialista e quelli della Democrazia Cristiana e della Margerita. Ma anche perché nell’insicurezza pre-elettorale Bersani non ha preso posizioni decise riguardo le politiche di Monti per poter eventualmente pensare ad una alleanza con lui nel caso fosse stato necessario dopo il voto. Questa indecisione è certamente costata una perdita di consensi al PD. Berlusconi invece ha astutamente tentato di avere Monti come leader della “grande casa dei moderati”, che avrebbe dovuto unire PDL, LN e Centro. Un tentativo fatto prima della campagna elettorale ma che non è andato a buon fine sia per la negazione di Monti che per la mancanza di supporto da parte della Lega Nord. Da quel momento Berlusconi ha giocato proprio la carta dell’anti-austeritá e dell’anti-Monti. In ogni sua apparizione le critiche al governo (Monti) che aveva appoggiato fino a pochi giorni prima erano spietate ed ovviamente contraddittorie. Infatti molte delle questioni che si é ritrovato il governo Monti derivavano proprio da chi lo aveva preceduto. Questo modo di fare campagna di Berlusconi, coniugato con promesse epiche è risultato brillantemente adeguato all’elettorato di centro-destra che ha premiato il Cavaliere con una ondata di consensi notevole. Contro l’austerità si è schierato anche Grillo ed il risultato del M5S è quindi una ulteriore conferma della sconfitta dei “mercati” nell’opinione degli italiani.

Una sconfitta evidente è quella del bipolarismo. I due schieramenti maggioritari di centro-destra e centro-sinistra, che si sono divisi i consensi negli ultimi anni, sembrano non essere in grado di catalizzare maggioranze stabili senza fare i conti con le altre forze parlamentari. Allo stesso tempo, molti partiti non sono riusciti ad entrare in parlamento. Fra tutti spicca quello dell’ex-presidente della camera Gianfranco Fini, Futuro e Libertà (FLI) e la coalizione degli ex-magistrati adesso capitanata da Antonio Ingroia di cui faceva parte anche Antonio Di Pietro, stoico condottiero dell’opposizione a Berlusconi prima e Monti poi. Gli scandali politici non hanno risparmiato neanche Di Pietro che aveva fatto della giustizia il suo cavallo di battaglia. In questo modo è stata sconfitta dalle elezioni anche la politica dei giudici ed è stata quindi evidenziata la necessità di rimarcare i confini operativi fra i rappresentanti dei poteri dello stato.

Per finire, ci sono altri dati interessanti che sono derivati dalla campagna elettorale: la presenza dei giovani – e l’importanza del loro voto –, la più robusta elezione di donne (1/3 degli eletti) ed il ruolo dinamico di Internet e delle piazze nella campagna elettorale. Andare incontro al cambiamento politico con i giovani è un punto fermo del programma M5S. Questo è confermato anche dal consenso ottenuto alla camera (25,5%), per cui si può votare dai 18 anni, comparato con quello del senato (23,8%) per cui solo chi ha superato i 25 anni d’età può votare. La necessità di cambiare ha abbracciato anche il PD che durante le primarie ha avuto scontri interni fra il candidato “rottamatore”, Matteo Renzi, ed il vecchio simpatico politicante Pierluigi Bersani. Sono in molti ora ad affermare che se Renzi avesse vinto le primarie del PD anche le politiche avrebbero avuto un esito più favorevole per il suo partito. Bisogna sottolineare che il PD ha cercato di intraprendere già da prima delle elezioni un cambiamento nel proprio modo di fare politica. Emerge il risalto dato alle Donne – spesso strumentalmente – da tutti i partici ma in particolare dal PD che dal M5S. Il ruolo di Internet è certamente rilevante proprio perché il M5S è nato e si sviluppa in esso (una delle cinque stelle è proprio la connettività). Il M5S ha svolto online le sue elezioni primarie (o “parlamentarie”) per l’elezione dei candidati alle politiche. Non sono mancate e non mancano le polemiche sull’efficacia del mezzo, soprattutto per i limiti riscontrati dalle piattaforme usate dal M5S, ma l’innovazione è rilevante. Anche i partiti tradizionali hanno investito nella propria presenza in rete ma più per completare la presenza dei leader nei mass media che per aprire il dialogo al confronto col pubblico. Grillo ha invece evitato scrupolosamente di andare in TV ma ha battuto il territorio nazionale con il suo camper per circa 40 giorni nello “Tsunami tour” facendo comizi in due città al giorno. Berlusconi ha dichiarato di dover evitare le piazze per motivi di sicurezza e Bersani si è approssimato solo marginalmente alla gente. Il modo di fare politica è sicuramente in transizione, una transizione che passa sempre più per internet ma che non si emargina dal contatto diretto con le persone nelle piazze e in cui i mass media giocano ancora un ruolo di prim’ordine. Grillo viene criticato per non essersi voluto esporre con quelli che lui definisce i “media di partito” (radio, tv e giornali nazionali), che strumentalizzano la comunicazione per interessi specifici. É anche stato il più fermo a voler evitare un confronto fra i leader degli schieramenti politici. Ma neanche Bersani, Berlusconi e Monti hanno voluto incontrarsi e probabilmente l’assenza di un confronto fra i leader è stato il segno più flagrante della durezza di questa campagna elettorale.

Stabilità o Metanoia?

Per molte ragioni il risultato di queste elezioni è sofisticato ed apre la strada alle due vie citate: governabilità o metanoia. La possibilità di nuove elezioni è inizialmente negata da tutti i rappresentanti dei parti eletti. Come detto, Bersani ha subito cercato di stimolare una relazione positiva con il M5S che, effettivamente, propone molti temi di interesse per il centro sinistra, ma Grillo non sembra volersi compromettere anche se all’interno del M5S fervono opinioni contrastanti. Un forte appello alla responsabilità delle forze politiche ed alla governabilità è quello fatto da Berlusconi per rompere il suo silenzio post elettorale di due giorni. Il Presidente del PDL sembra invocare il cammino della grande coalizione, un cammino che sarebbe paradossale rispetto alle discordanze confermate dalla campagna elettorale. Ma la grande coalizione rappresenterebbe anche una possibilità di mantenere lo status quo della vecchia politica italiana, ovvero di quella politica centrata sugli interessi dei partiti e dei mercati anziché sulle necessità dei cittadini.

Il M5S afferma che con i suoi eletti finalmente i cittadini entrano in parlamento. É probabilmente attraverso questo MoVimento che si dice innovatore che la politica italiana può voltar pagina, non senza passare attraverso una metanoia, ovvero attraverso un radicale cambio di prospettive. Il cambiamento riguarda decisioni prese per il bene dei cittadini, una affermazione della politica dal basso, una prova concreta che forme di democrazia partecipativa – come quelle esercitate dal MoVimento al suo interno ed a livello locale – possono essere combinate con la democrazia rappresentativa.

Uno de punti programmatici del M5S è l’annullamento del rimborso delle spese elettorali. Il M5S rinuncia pertanto ai circa 100 milioni di euro che gli spetterebbero per il consenso ricevuto (conformemente a quanto fatto fin’ora a livello locale). Misure come questa, concrete e per il bene comune, sono quelle che possono marcare il cambiamento necessario alla politica italiana. La prova è consistente sia per il M5S – che deve cristallizzare la sua presenza istituzionale in dialogo con la base e riuscire a rimanere fedele alle semplici ma condivise idee su cui ha eretto il proprio consenso e che deve rendere ancor più democratico il proprio modo decisionale interno – sia per l’Italia che può tentare un disperato salto all’indietro verso una stabilità accondiscendente ai partiti ed ai mercati, oppure fare un salto in avanti verso un cambiamento sostanziale delle forme e dei modi della politica nell’interesse del suo popolo.

Il presidente della repubblica, Giorgio Napolitano, nonostante la sua rinomata affezione per lo status quo della politica italiana, potrebbe aver aperto uno spiraglio verso il cambiamento. In risposta a Peer Steinbrueck (candidato SPD alla cancelleria tedesca) che si diceva inorridito dalla vittoria di due clown (Berlusconi e Grillo) in Italia, Napolitano ha chiesto rispetto per l’Italia ed ha cancellato l’evento programmato con Steinbrueck per la cena del 27 febbraio. Proprio negli ultimi due mesi che mancano allo scadere del suo settennato, Napolitano avrà un ruolo fondamentale nella definizione iniziale del cammino politico del paese, è lui che deciderà a chi assegnare l’incarico di formare un governo. La fiducia nell’Italia e negli italiani passa ora attraverso la reale attuazione della volontà degli eletti dagli italiani. Se questa volontà si esprime attraverso decisioni concrete e di interesse comune invece che sull’antico gioco della macchina dei partiti, essa deve essere rispettata. E se “i mercati” non saranno d’accordo – e con essi la Germania, L’Europa e le istituzioni liberali internazionali, lo scisma non sarà fra democrazia e popolo ma fra democrazia e mercati perché in democrazia il popolo (di quella democrazia e non di altre) è sovrano, non i mercati.

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